Il concetto di verità è un tema ampiamente sviluppato nella storia della filosofia e ad oggi resta ancora un argomento che offre molti spunti di riflessione e possibilità di sviluppo nella direzione di definire cosa e come possiamo intendere la verità. Ad oggi siamo circondati da quelle che chiamiamo “fake news”, dalle teorie complottiste e si è creata una gran confusione circa quello che possiamo definire vero: una delle percezioni condivise più comuni è che stiamo vivendo un periodo storico caratterizzato dal “vale tutto”, come se avere un’opinione personale o abbracciare il relativismo significhi necessariamente abbandonare il concetto di verità.

Definire la verità di un enunciato presuppone però la comprensione dell’enunciato, sia che esso sia scritto sia che venga pronunciato oralmente.

Uno dei disturbi più diffusi, ma ancora non considerato ufficialmente un Disturbo Specifico di Apprendimento, è proprio legato alla comprensione del testo scritto. Per questo ci occuperemo primariamente di descrivere quelle che sono le aree che compongono la comprensione scritta per poi interrogarci circa il modo di definire le condizioni di verità di quello che è stato letto.

 

1. Gli elementi che compongono la comprensione del testo

Quando leggiamo un testo scritto vengono attivate moltissime abilità per poter comprendere il senso di quello che abbiamo sotto gli occhi. Una persona con un disturbo di comprensione del testo può avere diverse difficoltà, che possiamo suddividere in tre aree:

difficoltà linguistiche;

difficoltà nel compiere inferenze lessicali e semantiche;

difficoltà sia nell’ambito della conoscenza metacognitiva sia nel controllo e uso delle strategie di lettura.

Chi riscontra difficoltà in campo linguistico ha buone abilità di lettura ma nonostante questo trova difficoltà nel produrre narrazioni che siano coerenti (sia tra le parti del testo che tra le frasi) e con contenuti vari e approfonditi.

Nel caso in cui siano presenti difficoltà lessicali e semantiche la persona non riesce a cogliere il significato di una parola sconosciuta dal contesto e a recuperare informazioni collegate all’argomento del testo letto per poter comprenderne meglio il significato.

In presenza di un disturbo di comprensione del testo spesso non si riescono ad identificare quali, tra le informazioni lette e studiate, siano davvero importanti e quali no.

 

Le difficoltà in ambito metacognitivo riguardano invece principalmente il controllo delle strategie di lettura e la consapevolezza di aver compreso o meno ciò che è stato letto.

Gli elementi che concorrono nella comprensione del testo sono suddivisibili in dieci sotto-abilità organizzate in tre macro-aree:

Contenuto:

Personaggi, luoghi, tempi e fatti

Fatti e sequenze

Elaborazione:

Struttura sintattica

Collegamenti

Inferenze lessicali e semantiche

Gerarchia del testo

Modelli mentali

Metacognizione

Sensibilità al testo

Flessibilità

Errori e incongruenze

Per il discorso che stiamo affrontando, rispetto alla verità di un enunciato, l’abilità che risulta essere essenziale è quella di riconoscere le incongruenze nel testo. Quando dobbiamo stabilire la verità di un enunciato, una volta compreso e individuato lo stato di cose a cui si riferisce, è necessario poter comprendere se a livello logico lo possiamo considerare complessivamente vero o falso. Per comprendere meglio facciamo un esempio: stabiliamo la verità dell’enunciato “Il cielo è azzurro e oggi fa caldo“. Questo enunciato è composto da due “enunciati atomici“, ovvero da due frasi singole che sono unite dalla congiunzione “e“; la verità di questo enunciato è data solo nel caso in cui entrambi gli enunciati atomici siano considerati veri, quindi solo nel caso in cui gli enunciati atomici stiano rappresentando uno stato di cose effettivo.

L’analisi della verità degli enunciati avviene attraverso l’analisi inconsapevole della funzione e del valore di una congiunzione, disgiunzione implicazione (se, allora) o doppia implicazione (se e solo se). Questi elementi in logica e filosofia del linguaggio sono chiamati operatori logici, i quali, applicati agli enunciati, determinano un risultato in termini di verità e falsità dell’enunciato complessivo, esattamente come il + applicato a due numeri determina il risultato dell’operazione.

I risultati degli operatori logici su due o più enunciati atomici dipende dalla veritào falsità di quest’ultimi e possono essere descritti in quelle che vengono chiamate “tavole di verità“, introdotte da Ludwing Wittgenstein1. Le tavole di verità descrivono qual è il risultato di un’operazione logica svolta sugli enunciati in base al loro valore di verità e mettono nero su bianco quello che solitamente facciamo intuitivamente. L’utilità delle tavole di verità è manifesta nel caso di proposizioni atomiche legate in modi logici non semplici, in cui definire il valore di verità finale non è così scontato, permettendo di trovarlo svolgendo dei veri e propri calcoli logici. Le tavole di verità possono anche essere utili per chi ha un disturbo del linguaggio per permettergli di riflettere e comprendere il valore di un determianto operatore logico.

2. Breve storia del concetto di verità

“Non esistono fatti ma solo interpretazioni

e anche questa è un’interpretazione”2

Friedrich Nietzsche

 

La citazione riportata sopra è una celebre frase del filosofo Friedrich Nietzsche che riassume la sua visione nei confronti della verità. Per ricostruire quella che è la storia dell’idea di verità utilizzeremo come guida un brillante riassunto in sei punti formulato da Friedrich Nietzsche in una delle sue opere, Il Crepuscolo degli Idoli. In questo testo Nietzsche racconta quella che lui definisce “storia di un errore”, ovvero “come il mondo vero finì per diventare favola”. Riportiamo di seguito i sei punti attraverso cui Nietzsche descrive lo sviluppo dell’idea di verità:

1. Il mondo vero, attingibile dal saggio, dal pio, dal virtuoso, – egli vive in esso, lui stesso è questo mondo.

Con questo primo punto Nietzsche fa riferimento al concetto platonico di verità, ovvero una verità considerata esistente e attingibile dall’uomo, seppur con difficoltà.

2. Il mondo vero, per il momento inattingibile, ma promesso al saggio, al pio, al virtuoso (“al peccatore che fa penitenza”).

Dopo la filosofia platonica, con l’influenza della dottrina cattolica, la verità divenne qualcosa di attingibile, seppur solo a costo di sacrifici e non alla portata di tutti.

3. Il mondo vero, inattingibile, indimostrabile, impromettibile, ma già in quanto pensato una consolazione, un obbligo, un imperativo.

In questa proposizione Nietzsche fa riferimento alla filosofia kantiana, la quale, nei confronti della possibilità di definire la verità di un enunciato, assume una posizione di rinuncia. Con Kant la possibilità di conoscere la verità di un enunciato, conoscere la realtà per quello che è, diventa inattuabile. La nostra percezione del mondo è infatti determinata da una serie di elementi, fisici e culturali (i cinque sensi, i preconcetti ecc), che non ci permettono di percepire la realtà per quello che è in modo oggettivo, svincolata dal soggetto che la percepisce. Le nozioni di spazio e tempo, il fatto di essere vincolati a questi elementi attraverso cui irrimediabilmente filtriamo la realtà, ci impediscono di accedere al “mondo vero”. Nonostante ciò, a questo punto della storia, il mondo vero è ancora una consolazione, un obbligo, un imperativo, come suggerisce Nietzsche, il fatto di non poterlo raggiungere non ci impedisce di credere nella sua esistenza e di porlo come condizione a priori.

4. Il mondo vero – inattingibile. Comunque non raggiunto. E in quanto non raggiunto, anche sconosciuto. Di conseguenza neppure consolante, salvifico, vincolante: a che ci potrebbe vincolare qualcosa di sconosciuto?…

5. Il “mondo vero” – un’idea, che non serve piú a niente, nemmeno piú vincolante – un’idea divenuta inutile e superflua, quindi un’idea confutata: eliminiamola!

Con questi due passaggi Nietzsche vuole descrivere quella che è poi diventata la nostra situazione attuale, ovvero la reazione nichilista conseguente alla raggiunta consapevolezza di una verità oggettiva e assoluta per noi irraggiungibile. Dato che non possiamo definire con assoluta certezza che una frase corrisponda a verità allora eliminiamo completamente l’idea che una verità esista. Il passaggio è quello che è avvenuto dal relativismo all’era della post-verità.

Nel relativismo la verità oggettiva e assoluta non esiste, ma possono esistere verità soggettive sostenute con fermezza e basate su quelle che sono le evidenze e le percezioni considerate vere in quel momento. Un esempio calzante è quello della teoria geocentrica: quando ancora si credeva che la Terra fosse il centro dell’Universo chi sosteneva questo enunciato ci credeva e lo considerava vero, basandosi su quelli che erano i dati e le percezioni del tempo, non potevano neanche immaginare una verità alternativa. Un altro esempio può essere il fatto che per noi esseri umani, con i nostri cinque sensi sviluppati in un determinato modo, percepiamo il mondo in una maniera che ci porta a sostenere che il mondo è a colori. Questa nostra verità è relativa, in quanto non possiamo sapere come venga percepito il mondo da altri esseri viventi, allo stesso tempo si tratta pur sempre di una verità, circoscritta a un certo tipo di esseri viventi.

La post-verità è una conseguenza estrema della mancanza di una verità assoluta, che porta a sostenere opinioni basate sulle proprie preferenze ideologiche ed emozioni. Il Dizionario di Oxford la definisce così: “che riguarda o si riferisce a circostanza in cui, nell’influenzare l’opinione pubblica, i fatti oggettivi contano meno degli appelli all’emozione e delle credenze personali”. Nell’utilizzo della post-verità c’è la convinzione che, essendo la verità un mito irraggiungibile, ciascuno sia libero di costruirsi l’immagine della realtà che meglio giustifica il proprio stato d’animo. Va da sé che la post-verità genera confusione riguardo ciò che possiamo considerare vero, seppur relativamente, e quello che sarebbe da limitare a credenza o desiderio3.

Il fatto che non possiamo accedere al “mondo vero” e che abbiamo a disposizione verità relative non giustifica l’utilizzo smodato di credenze al posto della verità. L’essere umano per sua natura necessita di una direzione, vuole definire e raccontare il mondo che lo circonda e ha bisogno della verità. Le verità relative non sono mezze verità, non hanno uno statuto ontologico inferiore rispetto alla “verità assoluta”, sono verità che possono permetterci di raccontare il mondo e scoprirlo, con la consapevolezza che potremmo cambiare idea, che magari un giorno confuteremo ciò che oggi consideriamo vero; questo però non è un punto debole, anzi, si tratta di un punto di forza rispetto a una prospettiva “assolutistica”, difatti questo modo di approcciare la verità lascia un’apertura verso l’ignoto che è il motore di ogni nuova scoperta. La consapevolezza del “so di non sapere” socratico è quella che permette l’errore e quindi abbraccia una descrizione del mondo più ampia e completa che contempla, per l’appunto, anche la possibilità di sbagliarsi.

Quello che Nietzsche volle esprimere con la sua ultima osservazione circa la storia della verità è proprio questo: se eliminiamo l’idea stessa di verità, il mondo vero, cosa ci resta? Un mondo fatto di illusioni? No, eliminando l’idea di verità perdiamo ogni orientamento e la definizione stessa di mondo.

6. Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? forse quello apparente?… Ma no! col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!4

3. Come definire la verità di un enunciato

Una volta compreso il significato di un testo, stabilito le condizioni di verità degli enunciati, e compresa la relatività della verità come possiamo definire se effettivamente l’enunciato sta descrivendo uno stato di cose? Con l’utilizzo delle tavole di verità possiamo stabilire se l’enunciato, nella sua totalità sia vero o falso, ma per farlo dobbiamo sapere se i singoli enunciati atomici sono da considerarsi veri o falsi.

L’enunciato “Il gatto è sul tavolo e sta dormendo” sarà vero solo nell’eventualità in cui i due enunciati atomici “ il gatto è sul tavolo” e “[il gatto] sta dormendo” siano veri, perché, come abbiamo visto, in caso di congiunzione l’enunciato è complessivamente vero solo nel caso in cui tutti gli enunciati atomici che lo compongono siano veri. Come facciamo a stabilire la verità degli enunciati atomici? Nel caso del gatto sul tavolo che dorme si fa presto: osserviamo se (relativamente al nostro punto di vista, filtrato dai nostri sensi e dalla conformazione del nostro cervello) il gatto si trova sopra il tavolo e poi osserviamo se effettivamente stia dormendo. Ma come fare quando ci troviamo davanti ad enunciati non direttamente verificabili o difficilmente verificabili?

In questo caso entrano in gioco diversi fattori:

la verosimiglianza;

la logica;

uno sguardo critico (nel senso proprio della parola, ovvero analitico);

la ricerca delle fonti e della loro attendibilità;

la fiducia nella ricerca scientifica in senso ampio effettuata da persone competenti;

l’umiltà nel riconoscere i propri limiti e nell’accettare che non possiamo essere esperti in tutto.

Riguardo alla verosimiglianza si fa riferimento al fatto che un enunciato atomico del tipo “il gatto mi ha parlato”, secondo quella che è l’esperienza di ognuno di noi fino ad oggi è difficilmente considerabile vero. Un gatto potrebbe anche parlare un giorno, ma fino ad oggi non ho mai riscontrato questo fatto nel mondo e non ho ragione di pensare che improvvisamente qualcosa sia cambiato nella struttura anatomica e cerebrale del gatto.

Rispetto alla logica facciamo riferimento alla struttura intrinseca dell’enunciato che sto esaminando. Bertrand Russel, storico filosofo del linguaggio, portò spesso questo esempio: l’enunciato “l’attuale re di Francia è calvo” non ha nessuna denotazione, nessun oggetto nel mondo che lo rappresenta, in quanto attualmente non esiste un re di Francia. Un enunciato di questo genere non è da considerarsi vero ma neanche falso, semplicemente non significa nulla, in quanto non riferisce a nulla di esistente.

Vorremmo infine approfondire un po’ il concetto di fiducia nei confronti delle fonti e di chi fa ricerca scientifica, in qualunque campo (dalla fisica alla filologia). Scegliere di fidarsi di una fonte, di una ricerca, dell’evidenza scientifica è, per l’appunto, una questione di fiducia. Questo significa che decidiamo di credere ai nostri sensi, alla matematica e all’attendibilità di un saggio scientifico. Proprio per la questione approfondita prima circa il relativismo, non abbiamo altra scelta se non la fiducia. Non possiamo scegliere sulla base di una verità oggettiva assoluta universalmente condivisibile e da questo non consegue che allora possiamo credere agli unicorni o che la Terra sia piatta. Poniamo le condizioni di esistenza della nostra possibilità di conoscere e descrivere il mondo e scegliamo di fidarci di determinate cose sulla base del fatto che siano più o meno coerenti con il sistema di conoscenze che abbiamo creato fino ad oggi. Non abbiamo più l’illusione di una verità assoluta e ora abbiamo la libertà di scoprire quello che è il mondo per noi esseri umani, fallibili e in continuo divenire, fidandoci di noi stessi e lasciando spazio alle altre infinite interpretazioni del mondo e dell’Universo, senza la pretesa che una sia migliore dell’altra e mantenendo la coerenza e aderenza con quello che siamo, per conoscerci sempre più a fondo.

 

Fonti:

 Ludwing Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi Torino 2009.

 Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza, a cura di Peter Gast e Elisabeth Förster-Nietzsche, ed. it. a cura di Maurizio Ferraris e Pietro Kobau, traduzione di Angelo Treves e P. Kobau, Bompiani, Milano, 2005.

Friedrich Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli, Adelphi, Milano 1983

Diego Marconi, Le Parole della Filosofia, Verità, a cura di Corrado Del Bo, Simone Pollo, Paola Rumore, RCS MediaGroup S.p.A., Milano, 2022

note 


1  Ludwing Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi Torino 2009.

2  Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza, a cura di Peter Gast e Elisabeth Förster-Nietzsche, ed. it. a cura di Maurizio Ferraris e Pietro Kobau, traduzione di Angelo Treves e P. Kobau, Bompiani, Milano, 2005.

3  Diego Marconi, Le Parole della Filosofia, Verità, a cura di Corrado Del Bo, Simone Pollo, Paola Rumore, RCS MediaGroup S.p.A., Milano, 2022

4  Friedrich Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli, Adelphi, Milano 1983